La Valle d’Aosta è entrata, di prepotenza, nel triste novero delle regioni che negano, a prescindere, l’indennità di frequenza ai ragazzi con DSA. A parte rarissimi casi dovuti a congiunture astrali del tutto particolari – o, talvolta, a casi particolarmente gravi, semmai in comorbidità con ADHD o altro, non è dato a sapere. Le (mie) statistiche parlano ormai chiaro: solo nell’ultimo anno, su cinque clienti che ne hanno fatto richiesta ad uno soltanto è stato riconosciuto in prima istanza; agli altri, negato con la solita, frustrante motivazione secondo cui i minori in questione non presenterebbero difficoltà persistenti a svolgere i compiti propri della loro età, con buona pace delle leggi e degli studi clinici in materia.
E allora, avanti a suon di ricorsi. Che, fino ad oggi, si vincevano. In parte perché le norme di legge richiamate alla base della decisione erano quelle sbagliate, in parte perché comunque i disturbi dell’apprendimento comportano giocoforza che un bambino abbia queste famose «difficoltà persistenti a svolgere i compiti propri dell’età» – argomento che in questo blog ho affrontato in svariate occasioni –, la commissione medica di seconda istanza accoglieva il ricorso e concedeva l’indennità di frequenza. Così è stato negli anni scorsi, così è stato quest’anno, per i primi due dei miei quattro clienti che hanno proposto ricorso. Il terzo se l’è visto respingere, del quarto ancora non abbiamo l’esito.
Perché è stato respinto? Ecco, ci piacerebbe saperlo. La comunicazione ricevuta dalla mia cliente si limita a riferire che «la Commissione di seconda istanza […] ha confermato che lo stesso [minore] non presenta difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della sua età». Nessuna motivazione, quindi. A fronte di un ricorso di sei pagine, con motivazioni precise e dettagliate tanto in diritto quanto dal punto di vista clinico, la commissione medica si limita a confermare. Ma il motivo vero, cari lettori, lo sappiamo tutti: i ricorsi iniziavano ad essere troppi, e accoglierli tutti significa tirare fuori soldi; i quali, si sa, non ci sono. Almeno, non ci sono per bambini e ragazzi che ne hanno davvero bisogno per far fronte alle cospicue spese che i loro disturbi dell’apprendimento comportano, mentre di certo non mancano per gonfiare le tasche di questi medici che, ancora, riescono a scrivere che una bambina di otto anni dislessica, disortografica e discalculica non presenta difficoltà persistenti a svolgere i compiti della sua età. Senza, però, dire il perché. Il perché non c’è, ecco tutto.
Ma la mia cliente non ci sta, come non ci sto io. Vogliamo sapere i motivi, vogliamo che ogni punto del ricorso venga contestato con motivazioni serie, giuridiche o cliniche che siano. Vogliamo smontare questo sistema perverso in base al quale, su tre bambini che presentano DSA del tutto simili, a due l’indennità di frequenza è stata riconosciuta (dopo il ricorso, ovviamente), mentre all’ultima – peraltro la più grave – no, nel giro di pochi mesi. La legge è uguale per tutti. Il diritto di ottenere quello che la legge riconosce è un diritto di tutti, non di due su tre (o quattro, attendiamo l’ultimo esito). Perciò: avvocato pronto, prossimamente il ricorso in tribunale. Saranno così giudici seri, imparziali a decidere, esterni al circolo vizioso di una sanità pubblica ormai allo sbando più completo.
Vedremo come andrà a finire.
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