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Quello che – secondo il mio parere – le commissioni mediche non vogliono capire. Uno studio e una riflessione su norme di legge e situazioni cliniche

Chi mi segue su questo sito ormai conosce molto bene la situazione contro la quale mi batto da tempo: le commissioni mediche preposte alla verifica dei requisiti per l’indennità di frequenza ai minori con DSA negano quest’ultima praticamente sempre, sostenendo che i bambini e i ragazzi in questa condizione non presentino difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni della propria età, condizione essenziale prevista dalla legge per l’erogazione dell’indennità medesima. Dopo aver seguito ormai un buon numero di visite mediche presso le commissioni e aver scritto altrettanti ricorsi per conto di clienti che si sono visti negare l’indennità di frequenza per il suddetto motivo, ho deciso di approfondire maggiormente l’argomento e mettere insieme tutte le mie considerazioni. Propongo quindi qui di seguito una riflessione che deriva dallo studio delle norme di legge attualmente in vigore e che, lungi dall’essere esaustiva, intende nel suo piccolo riportare il discorso nella cornice che a mio avviso è quella corretta e dalla quale, tuttavia, le commissioni mediche persistono nel tenersi lontane.
 
I disturbi specifici dell’apprendimento sono anomalie con base neurobiologica, presenti sin dalla nascita, spesso di matrice ereditaria, dalle quali non è possibile guarire, proprio perché non si tratta di patologie curabili farmacologicamente o chirurgicamente. Poiché impattano in maniera importante sugli apprendimenti, ne consegue che durante tutto il periodo di scolarizzazione i minori che ne sono interessati incorrono in difficoltà – più o meno pesanti a seconda della gravità dei disturbi, della presenza di uno o più di essi e della eventuale comorbidità con altri disturbi dell’età evolutiva (ADHD, DOP, disturbi della memoria, ansia, …) – che sono comunque persistenti, nel senso che accompagnano i ragazzi fino al termine degli studi e anche oltre. Tale fatto rende necessario, talvolta indispensabile, sostenere questi bambini e ragazzi nello studio, tanto a scuola, quanto fuori da essa, per mezzo di strategie adeguate e strumenti (pratici e informatici) specifici, con lo scopo di affrontare (si ripete, non guarire) e se possibile superare i limiti imposti dai disturbi.
 
Lo scenario ora delineato e studi di settore sempre più approfonditi anche nel nostro Paese hanno indotto il legislatore a varare la legge 170 dell’8 ottobre 2010, rubricata Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico, con due diverse finalità principali: la prima, fornire finalmente un riconoscimento “ufficiale” anche in Italia a una situazione clinica fino a quel momento poco conosciuta e ancor meno regolamentata; la seconda, prevedere tutta una serie di aiuti – nel senso più lato del termine – a sostegno sia dei ragazzi con DSA che delle loro famiglie. Tra questi aiuti un posto di rilievo meritano senz’altro quelli attribuiti alla competenza degli istituti scolastici (che si concretizzano operativamente negli strumenti compensativi e nelle misure dispensative previsti nel piano didattico personalizzato), ma non devono essere messi in secondo piano quelli di tipo economico. Va da sé, infatti, che per sostenere adeguatamente un figlio con DSA la famiglia vada incontro a spese di ingente entità per un periodo che dura svariati anni: ricorso a operatori sanitari privati (quando quelli pubblici terminano le ore a disposizione per il singolo ragazzo), servizi di doposcuola, acquisto di computer e software compensativi e via di seguito.
 
Del tutto opportunamente, il legislatore non ha ritenuto di confezionare una nuova legge ad hoc che prevedesse sussidi economici per i minori con disturbi specifici dell’apprendimento, ma si è limitato a ricomprendere questa casistica in una già precedentemente normata: quella dei minori invalidi. Nel 2010, infatti, esisteva già da vent’anni la legge 289 dell’11 ottobre 1990, dal titolo Modifiche alla disciplina delle indennità di accompagnamento di cui alla L. 21 novembre 1988, n. 508, recante norme integrative in materia di assistenza economica agli invalidi civili, ai ciechi civili ed ai sordomuti e istituzione di un’indennità di frequenza per i minori invalidi. Questa legge aveva istituito appunto l’indennità di frequenza a favore dei «mutilati ed invalidi civili minori di anni 18, cui siano state riconosciute dalle commissioni mediche periferiche per le pensioni di guerra e di invalidità civile difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni della propria età», considerandola fin da subito un sussidio alla stregua dell’assegno di accompagnamento per gli invalidi civili adulti.
 
Ora, è palesemente tautologico che la norma appena citata non parli di disturbi specifici dell’apprendimento, dal momento che la legge sui DSA, come abbiamo visto, è successiva di vent’anni ad essa. Come fare, quindi, per ricomprendere anche i minori con DSA tra i soggetti che possono beneficiare dell’indennità di frequenza? La risposta è semplice, ed appare più che chiara a tutti gli operatori del settore, tranne – così sembra fino ad oggi – alle commissioni mediche che persistono nel negare tale sussidio. La si trova nella connessione logica che il legislatore ha stabilito utilizzando la formula delle «difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni della propria età». Poiché infatti, già nel 1990, tra i beneficiari del sussidio economico comparivano i «mutilati ed invalidi civili minori di anni 18, cui siano state riconosciute dalle commissioni mediche periferiche per le pensioni di guerra e di invalidità civile difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni della propria età» (art. 1, co. 1, legge 289/1990), nel 2010 si è stabilito che i disturbi dell’apprendimento «possono costituire una limitazione importante per alcune attività della vita quotidiana» (art. 1, co. 1, legge 170/2010).
 
Basterebbe questa definizione, unita ai fiumi di inchiostro scritti negli ultimi dieci anni (non soltanto, ovviamente, in Italia, ma a livello mondiale) sul tema dei DSA – nel nostro Paese basti citare i lavori di Giacomo Stella e del gruppo guidato da Cesare Cornoldi –, per sgombrare il campo da ogni ulteriore dubbio: i disturbi dell’apprendimento sono una causa invalidante importante, che costituisce una forte limitazione per alcune attività della vita quotidiana che sono normali per ogni bambino e ragazzo in età scolare: leggere, scrivere e fare di conto in autonomia. Proprio queste attività costituiscono i famosi «compiti e funzioni della propria età», e non può esserci alcun dubbio sul fatto che i disturbi dell’apprendimento comportino difficoltà persistenti a svolgerli: dai DSA non si guarisce, i disturbi dell’apprendimento accompagnano un soggetto per tutta la sua vita, e le difficoltà che provocano sono quindi persistenti, non temporanee. Se un bambino, un ragazzo in età scolare per leggere deve ricorrere ad un computer con libri digitali e sintesi vocale, per scrivere deve far uso di un software di videoscrittura con correttore ortografico, per eseguire i calcoli deve servirsi di una calcolatrice e della tavola pitagorica – sono solo esempi, peraltro i più banali – anche a 13-14 anni, quando per tutti i coetanei si tratta di attività ormai automatizzate e svolte in autonomia, è certo oltre ogni ragionevole dubbio che si tratti di “difficoltà” nel senso più ampio del termine. Tant’è che la scuola le riconosce pienamente e nel piano didattico personalizzato indica tutta una serie di misure allo scopo di aiutare il ragazzo ad affrontarle nel modo migliore.
 
Quindi, in sostanza, collegando la legge 170/2010 con la legge 289/1990 attraverso la constatazione logica per cui i minori con disturbi dell’apprendimento presentano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni dell’età, si arriva alla conclusione che i medesimi hanno diritto all’indennità di frequenza, che invece le commissioni mediche puntualmente negano.
 
Inutili e fuori luogo sono, infine, tutte le osservazioni in qualche modo connesse con l’invalidità civile che quasi sempre si leggono sui verbali delle visite mediche: i minori con disturbi dell’apprendimento non sono invalidi, anche se i disturbi costituiscono situazioni invalidanti in senso lato. Dunque, anche se le commissioni mediche preposte alla verifica dei requisiti sono le medesime che si occupano di invalidi civili, non possono e non devono cercare cause di invalidità civile in un ragazzo che ha invece uno o più disturbi dell’apprendimento! Le cause dell’“invalidità” (lo ripeto, in senso lato) stanno automaticamente nella presenza dei disturbi riconosciuti e certificati nella diagnosi del neuropsichiatra infantile, unico necessario (e di per sé sufficiente) requisito per accedere all’indennità di frequenza.
 
Queste sono le mie riflessioni. Mi piacerebbe davvero che i miei lettori scrivessero commenti, annotazioni, riflessioni personali a quanto ho scritto, così da ampliare il dibattito e provare a “fare cultura” su questo argomento, ancora purtroppo poco conosciuto.

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