L’abbigliamento della quarantena.
O – il che è lo stesso – la quarantena dell’abbigliamento
Fin da bambini ci hanno insegnato che dobbiamo vestirci adeguatamente ai diversi contesti in cui ci rechiamo.
Perciò: se vado a scuola, metto il grembiule; se vado a lavorare in ospedale, metto il camice; se vado a un matrimonio, metto l’abito; se resto a casa, posso tranquillamente tenere la tuta, o i pantaloncini e la maglietta, e le ciabatte.
Quindi, da quando sono diventato adulto, mi sono abituato a una logica ferrea e anche molto semplice: a casa resto in tuta (o in pantaloncini e maglietta) con le ciabatte; quando esco per andare al lavoro mi metto la camicia, i pantaloni e le scarpe. A casa: home dressing; al lavoro: work dressing.
Poi però è arrivato il Coronavirus.
Ci hanno detto che dobbiamo lavorare in smart working.
Tradotto: dobbiamo lavorare restando a casa.
E qui casca l’asino! Come mi vesto? Da casa o da lavoro?
La soluzione, per me – ma forse per tutti… –, è stata lo smart dressing: camicia sopra, pantaloni della tuta (o pantaloncini) e ciabatte sotto.
Facendo bene attenzione a non alzarmi mai dalla scrivania durante una videolezione, perché se no la webcam inquadrerebbe anche la parte sotto!
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