Chi mi segue ormai lo sa: il mio interesse per Linux va ben oltre una semplice conoscenza informatica ad uso professionale, è una vera e propria passione. E come tale prevarica i confini, appunto, del mero “interesse” e diventa un hobby, un piacere.
Così, oltre a usare il sistema operativo del Pinguino quotidianamente su tutti i miei computer, a casa come al lavoro, non smetto mai di curiosare, informarmi, scoprire, sperimentare. Con il risultato che non ho ancora veramente mai finito di provare una distribuzione diversa dalla precedente, di capire se faccia al caso mio, di divertirmi – nel tempo libero, ecco perché lo considero un hobby – a installare e disinstallare, a imparare nuove cose, a perlustrare nuovi “mondi”.
Risale ad appena due mesi fa la mia “avventura” con Debian GNU/Linux – ne ho parlato in questo articolo – e la settimana scorsa avrei voluto scrivere delle conclusioni alle quali sono poi giunto, del compromesso tra usare Debian sul computer dello studio ed essere tornato a Kubuntu su quello di casa. Avrei voluto raccontare delle disavventure avute con la webcam del portatile dopo l’aggiornamento al kernel 5 (sia con Debian che con Kubuntu) e del perché, a causa di queste, sul notebook c’è di nuovo Kubuntu 19.10 anziché l’ultimo arrivato 20.04.
E invece no. Invece sono qui a parlarvi di Manjaro Linux.
Di questo Manjaro avevo ovviamente sentito parlare e letto già da tempo (come di tutte le distribuzioni Linux, ça va sans dire!), ma me ne sono sempre tenuto distante, senza neppure mai provarlo. Il motivo è semplice: non è una derivata di Debian.
«E che cosa c’entra?» obietterete voi.
C’entra eccome. È ben vero che amo sperimentare e cambiare, ma almeno una scelta è sempre stata – fino ad oggi, già… – radicata: quella di usare esclusivamente distribuzioni derivate da quella creata da Ian Murdock, se non proprio direttamente quella “pura”, Debian appunto. In un passato ormai remoto ho provato (e magari usato per qualche tempo) altro: Mandrake e SuSE (che derivano da Red Hat), Sabayon (basata su Gentoo). Tuttavia il mio “vero” uso di questo sistema operativo si è poi sempre basato sulle derivate di Debian, che ho imparato a conoscere davvero a fondo.
Avevo voglia di cambiare, di provare finalmente qualcosa di completamente differente. Avevo voglia di “toccare con mano” una distribuzione rolling-release, in grado di offrirmi software sempre aggiornato senza la necessità di aspettare i «rilasci» caratteristici di quelle che ho finora usato (i canonici sei mesi delle distro *buntu, i due anni di Debian Stable) e senza dover “pasticciare” con mix che per me si sono ogni volta rivelati non adeguati – sto parlando di Debian Testing, che nell’esperimento di marzo, dopo due aggiornamenti, mi ha costretto a rimuovere del software che uso per lavoro in quanto le dipendenze non erano più soddisfatte.
Manjaro è una derivata di Arch Linux, sistema conosciuto come difficile da installare e configurare, e per questo destinato ad utenti esperti; da Arch eredita il sistema di pacchetti e, soprattutto, la caratteristica di rolling-release, ma aggiunge strumenti che ne facilitano enormemente ogni aspetto, dall’installazione alla configurazione all’utilizzo quotidiano.
Esiste in tre versioni ufficiali: Gnome, KDE e Xfce; esistono però anche altre versioni con tutti gli ambienti esistenti (Cinnamon, Mate, LXDE, LXQt e via di seguito). La mia scelta, naturalmente, è ricaduta su KDE.
L’installazione e il primo utilizzo sono assolutamente analoghi a Kubuntu: l’hardware del computer viene riconosciuto fin da subito e i driver corretti vengono immediatamente installati; sono possibili il partizionamento automatico e quello manuale del disco. Al termine, si presenta un desktop molto elegante, con un tema specifico (Breath2) che utilizza il verde come colore predominante; tutte le applicazioni di uso più comune sono installate, nelle loro versioni assolutamente più recenti. Il kernel al primo avvio era il 5.5, ma si è aggiornato subito al 5.6; ci sono KDE Plasma 5.18 e LibreOffice 6.4.3. E così via.
Ciò che più mi ha lasciato stupefatto, però, è il sistema di gestione del software. Con le distribuzioni Debian-based ero abituato a questa logica:
- se mi serve un programma, lo cerco nel gestore pacchetti e lo installo (se lo conosco già, addirittura uso il terminale: sudo apt install nomepacchetto);
- se non esiste nei repository, lo cerco sul web e sicuramente trovo il relativo pacchetto .deb: lo scarico e lo installo con sudo dpkg -i nomepacchetto.deb;
- se proprio non lo trovo, probabilmente esiste un pacchetto snap, che funziona su tutte le distribuzioni e si installa dallo Snap Store.
Con Manjaro è diverso. Se il programma non è nei repository ufficiali, allora è quasi certo che si trova nel repository chiamato AUR: un enorme serbatoio di pacchetti mantenuti dall’altrettanto enorme comunità che sviluppa Arch Linux e dove si trova praticamente tutto. Anche perché, altrimenti, non c’è altro modo di installare software, a meno di non compilarne i sorgenti, sempre che esistano.
Ad esempio, per installare su Debian e Kubuntu alcuni strumenti che non possono mancare sui miei computer – Dropbox, Skype, AnyDesk, WhatsApp, Telegram, Master PDF Editor e alcuni altri – ho dovuto, come d’abitudine, andare sui singoli siti di ciascuno di essi e scaricarne i relativi pacchetti .deb, poi installarli uno ad uno. Su Manjaro li ho trovati tutti direttamente nel gestore pacchetti, dopo aver abilitato il repository AUR. Non ho dovuto far altro che selezionarli e cliccare su Costruisci. Et voilà, pronti, aggiornati e funzionanti!
Mi fermo qui, per adesso, anche se i pregi di questa distribuzione sono molti di più. Dopo averla provata qualche giorno in una macchina virtuale, l’ho installata sul computer di casa e ne sono molto ben impressionato. È veloce (più di Kubuntu), stabile e molto parca di risorse: all’avvio, consuma solo 500MB di RAM. Voglio “giocarci” per un po’ di tempo, attendere qualche aggiornamento importante e vedere come va. Se non ci saranno problemi, procederò ad installarla sul portatile – già provata in live e la webcam funziona! – e poi sul computer dello studio.
Continuate a seguirmi, vi terrò aggiornati!
PS: forse è inutile dirlo, ma ho scritto questo articolo dalla mia nuova Manjaro sul computer di casa, usando l’editor Kate e il browser Firefox…
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