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Ieri pomeriggio ho accompagnato tre clienti alla visita presso la commissione medica invalidi civili, per l’indennità di frequenza. Su questo blog ho raccontato tante volte le mie esperienze in tal senso, e francamente credevo di aver già visto il peggio. Però, si sa, al peggio non c’è mai limite, e ieri siamo scesi sotto il limite.
Entro, insieme alla madre, con la prima bambina: disortografica, disgrafica e discalculica. Ci fanno accomodare. Alla bambina non chiedono nulla, anzi neppure la considerano; chiedono a me: «Tu che cosa ci dici?» – detto tra noi: in un contesto professionale, perché mai dovremmo darci del tu? –; elenco le difficoltà della mia cliente, spiego la diagnosi, racconto come la vedo in studio, confermo la necessità di supporto (tutte cose inutili, ormai lo sapete bene voi che mi seguite; ma tant’è…). Alla bambina continuano a non chiedere nulla. La madre consegna tutta la documentazione, poi racconta un po’ di cose, tra le quali tutto quanto ha fatto lei stessa fino ad oggi con la figlia per aiutarla ad affrontare le sue difficoltà. Pressoché nessuno dei medici seduti al tavolo la ascolta: uno messaggia su WhatsApp, uno parla proprio al telefono, una scrive al computer, una le detta quello che deve scrivere, uno solo guarda in faccia la madre della bambina. Finché, mentre lei sta ancora parlando – e sono cose importanti, accidenti –, una la interrompe: «Abbiamo tutta la documentazione. Le faremo sapere. Grazie e buon pomeriggio». Mamma incredula e arrabbiata, usciamo. Alla bambina non hanno chiesto assolutamente nulla. Solo mentre ci alziamo, uno dei medici le dice «Ciao cucciola!» Detto tra noi: è giusta tanta confidenza, quando magari sarebbe invece stato sufficiente (e opportuno) parlare con lei prima, cercando di approfondire le sue difficoltà? Ma tanto, ormai lo sappiamo, alla commissione medica di approfondire poco importa. Verosimilmente, negheranno questa indennità di frequenza come fanno di solito…
Dopo un po’ di tempo, entro, insieme a entrambi i genitori, con il secondo bambino: dislessico e disortografico, in comorbidità con ADHD. Di nuovo, ci fanno accomodare, ma questa volta parlano anche con il bambino: «Quanti anni hai?» «Sette». «E che classe fai?» «Terza». «Terza cosa?» «Terza elementare no? Ho sette anni!» No comment. Di nuovo, chiedono a me; spiego tutto. La madre fornisce la documentazione. Si alza una voce dai presenti: «Voi godete dei benefici della legge 104, per il lavoro?» La madre guarda verso questa voce e risponde: «Ma mio figlio è DSA, non disabile!» La voce insiste: «Sì ma per quante ore alla settimana ha il sostegno?» Io davvero non credo a quello che sto sentendo. Però rispondo: «Questo bambino è un DSA, non ha un PEI! Non c’è la legge 104 qui, non ha il sostegno, ci sono i benefici della legge 170!» Pare provenire da un altro pianeta: «Beh ma in questo caso il sostegno ci vorrebbe… Non avete chiesto al neuropsichiatra?» Continuo a non credere a quello che sto sentendo; e non credo più neppure di essere davanti ad una commissione medica che deve accertare un DSA per concedere l’indennità di frequenza. Nella mia incredulità, decido di parlare loro come farei a chi non conosce per niente questa materia (e forse è davvero così): «Ma voi sapete meglio di me che il sostegno viene concesso solo in caso di disabilità gravi. Questo bambino ha un DSA, il livello cognitivo è nella norma, non esistono i criteri per un PEI quindi il sostegno non verrebbe mai concesso. E comunque non ce n’è bisogno!» Ma non è finita. Un altro dei presenti si rivolge al padre del bambino: «Beh, capisco molto bene quanto sia difficile convivere con questi problemi… Anche io da piccolo ne avevo, ma non sono mai stato valutato: sicuramente io sono acalculotico, non capisco niente in matematica!» Sì, avete capito bene: ha detto acalculotico!
Finisco molto brevemente con la terza ragazzina: diagnosticata ormai da sei anni, percepisce l’indennità di frequenza da quattro. Ebbene, ieri era convocata per «accertare la persistenza dei requisiti dell’invalidità civile». Invalida civile non è, ha un DSA. E la persistenza dei requisiti è automatica: dai disturbi dell’apprendimento non si “guarisce”, ci sono per sempre.
E io mi chiedo ancora una volta: qualcuno, attorno a quel tavolo, sa di che cosa stiamo parlando?

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