L’unico modo per contestare una bocciatura ingiusta è il ricorso al TAR. Che però ha costi molto alti, e così le famiglie spesso rinunciano.

 

 

CON questo articolo inauguro una nuova categoria, che ho chiamato Normativa & Diritti e che è caratterizzata dal colore verde e da un tocco da laureato, simbolo tipico del mondo della legge. Faranno parte di questa categoria, appunto, articoli che tratteranno di questioni legate alla normativa sui disturbi dell’apprendimento, ai diritti — spesso negati — dei ragazzi certificati e dei loro genitori, a vicende giudiziarie e a tutto quello che, in generale, costituisce l'”insieme unione” del mondo dei DSA e di quello della legge.

Vi racconto una breve storia triste. Qualche settimana fa mi hanno contattato due genitori da una località fuori Valle per una consulenza; ormai mi capita spesso di fornire consulenze al di là dei confini della mia regione, a persone che mi trovano sul web e con cui poi lavoro online. Il loro ragazzo, studente al quarto anno di una scuola secondaria di secondo grado, pur essendo certificato da anni per un DSA misto, aveva sempre incontrato difficoltà, specie nell’istituto tecnico che sta frequentando, a vedersi riconosciuti dagli insegnanti i propri disturbi. In particolare, nell’anno scolastico appena concluso aveva ottenuto un debito in due materie; l’insegnante di una di queste non aveva mai applicato correttamente il PDP durante tutto l’anno, circostanza che ha sicuramente contribuito al debito.

Ebbene, agli esami di riparazione di inizio settembre questo ragazzo ha recuperato uno dei due debiti, ma nella materia del docente “ingiusto” ha ottenuto addirittura un 4, con la conseguenza di non essere ammesso al quinto anno. Da notare che la prova d’esame — che ho avuto modo di vedere — non era differenziata e non era assolutamente adeguata alle difficoltà dello studente, certificate in diagnosi; in più — e questo è un fatto gravissimo — il ragazzo non ha potuto utilizzare gli strumenti compensativi (peraltro previsti nel suo PDP) solo perché il docente non glielo ha permesso (senza alcuna motivazione), né ha avuto a disposizione il tempo supplementare. Insomma, la bocciatura è palesemente derivata da una assoluta inapplicazione delle misure previste dal PDP e quindi il ragazzo aveva tutto il diritto di contestare il risultato finale.

Ho allora spiegato ai genitori i passi da compiere, che in realtà si riducono a uno solo: proporre ricorso al TAR contro la bocciatura. E li ho messi in contatto con un eccellente avvocato che si occupa prevalentemente di questioni giuridiche legate ai DSA. Alla fine, però, hanno rinunciato a causa dei costi molto elevati che il ricorso comporta. Con la conseguenza che il loro ragazzo ora è costretto a ripetere l’anno solo a causa di un insegnante totalmente impreparato e inadeguato.

Però così non va bene!

Questa vicenda — ma chissà quante altre analoghe accadono ogni anno in Italia… — mi ha lasciato una profonda amarezza e anche una grande tristezza. Uno studente certificato viene rimandato perché il proprio insegnante non capisce nulla di disturbi dell’apprendimento (e, detto tra parentesi, perché il consiglio di classe nulla ha fatto per fargli capire qualcosa); a settembre viene bocciato poiché non gli sono stati concessi gli strumenti e le misure cui aveva diritto per legge, non certo per simpatia.

E — siamo in Italia! — l’unico modo che ha per vedersi riconoscere i diritti fin qui negati è un ricorso al TAR, i cui costi sono elevatissimi; e non c’è a priori alcuna certezza non solo che il ricorso venga accolto (cosa che chi intenta una causa deve sempre mettere in conto), ma neppure che, in caso di accoglimento, la Regione venga condannata a rifondere alla famiglia le spese legali sostenute.

La domanda è semplice: quante famiglie accettano il rischio di proporre un ricorso sborsando di tasca propria migliaia di euro senza avere la certezza che poi verranno loro restituiti in caso di vittoria? La risposta è ancora più semplice: pochissime.

A essere sbagliato è il sistema, tanto per cambiare. Anzi, i sistemi, visto che secondo me sono almeno due.

Il primo è il sistema scolastico. Sul quale dico poco, perché chi mi conosce sa quanto io sia deluso e preoccupato per come in Italia la scuola davvero non funzioni, e ancor più perché non vi siano reali prospettive di miglioramento, almeno in tempi brevi. Dico solo che un sistema scolastico che consente a un insegnante di lavorare senza nulla sapere di disturbi dell’apprendimento o, peggio, senza essere in grado di applicare strumenti e misure che la legge — una legge nata quasi quattordici anni fa, non ieri… — assicura agli studenti certificati, non è un sistema scolastico degno di un Paese civile come in teoria l’Italia è.

Il secondo è il sistema giudiziario. Perché, in questioni delicate come quelle che riguardano ragazzi in difficoltà — certificati per DSA o con qualunque altra difficoltà, non importa — i cui diritti vengono riconosciuti poco o per niente dalla scuola, la legge dovrebbe garantire una tutela gratuita o almeno a basso costo, così che le famiglie abbiano la possibilità di ricorrere in giudizio. E poi ci dovrebbe essere la certezza che sempre, in caso di accoglimento del ricorso, la Regione (o meglio la scuola) venga condannata al pagamento delle spese legali. Se non è stata in grado di garantire a un suo studente i diritti che gli spettano, sia almeno costretta a sollevarlo dallo spendere, appunto, migliaia di euro.

Ha ragione l’Associazione Italiana Dislessia, quando afferma che c’è ancora tanto lavoro da fare affinché l’inclusione non resti solo una bella parola ma diventi una realtà anche in Italia. Tanto lavoro sia sul fronte scuola che sul fronte normativa, entrambi ancora poco adeguati a tutelare, davvero, i ragazzi con disturbi dell’apprendimento.

Foto di copertina: ken19991210 da Pixabay


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