È trascorsa la prima settimana di lavoro completamente da casa.
Da lunedì scorso, come sapete, ho smesso di recarmi in studio, dove ricevevo ancora qualche cliente, per dedicarmi ad attività con i ragazzi solo più in modalità remota.
Il bilancio di questa prima settimana è fondamentalmente positivo. Dal punto di vista tecnico – ma ne ero certo ancora prima di iniziare! – né i bambini né i ragazzi che io seguo hanno avuto il benché minimo problema nell’utilizzare gli strumenti informatici che ho proposto, ancorché non li conoscessero e non li avessero mai usati in precedenza. Le videolezioni con gli insegnanti di scuola, infatti, si svolgono su Google Meet, e gli studenti sono abituati da sempre a servirsi di Google Classroom per la condivisione e lo scambio di materiale con i docenti e i compagni. Io ho chiesto invece di usare Skype per le videochiamate – non posso usare Meet perché è un prodotto aziendale a pagamento, i ragazzi lo hanno in quanto collegato agli account scolastici della regione – e AnyDesk per controllare il computer di ciascuno di loro.
Detto fatto, si sono immediatamente adeguati e ci siamo collegati senza alcun problema, a parte a volte qualche malfunzionamento dovuto alla scarsa qualità della connessione, che abbiamo immediatamente aggirato con videochiamate su WhatsApp (questo funziona sempre e ce l’hanno tutti!). Skype ci consente di vederci reciprocamente, di parlarci e anche, se serve, di scambiarci messaggi scritti. Con AnyDesk io posso vedere in diretta quello che i ragazzi fanno sul loro computer e – grazie all’interazione di mouse e tastiera – anche eseguire determinate azioni a titolo dimostrativo.
Il rovescio della medaglia, però, non manca.
Se è vero che tecnicamente il mio lavoro a distanza con i ragazzi è possibile e, anzi, anche efficace, è altrettanto vero che il “fattore presenza” è determinante e, in questo modo, viene a mancare del tutto. Intendo dire che seguire un bambino o un ragazzo nello studio, in particolare se ha grandi difficoltà come è il caso dei miei clienti, è davvero efficace soltanto se si sta uno accanto all’altro, fisicamente. A leggere sul medesimo libro, a scrivere sul medesimo foglio, a lavorare al medesimo computer, a guardarsi in faccia. E a mangiare le caramelle che nel cestino del mio studio non mancano mai! È per questo che, quando lavoro con i ragazzi in studio, sto seduto non sulla mia sedia ma su quella accanto a loro.
Non dico nulla di nuovo, lo so: per gli insegnanti è lo stesso, e anche i ragazzi sperimentano la mancanza dei rapporti interpersonali che solo andare a scuola offre. Ma è così.
Inoltre, se stare a casa propria è certamente più comodo, proprio per questo è anche più dispersivo, e talvolta i ragazzi – me ne accorgo, sappiatelo! – si distraggono più facilmente rispetto a quando sono in studio.
Detto questo, meno male che la tecnologia oggi ci supporta ed è accessibile a tutti! Grazie ad essa posso continuare a lavorare con i “miei” ragazzi, che ormai lo sanno: non li mollo!
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.
Ancora nessun commento