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Premetto che non mi intendo assolutamente di economia ad alti livelli e che, proprio per questo mio limite, non ho elementi e competenze sufficienti per capire se veramente, come sostiene il ministro dell’Economia Saccomanni, il taglio di 150 euro agli stipendi degli insegnanti sia un «atto dovuto da parte dell’amministrazione».
Mi limito, quindi, unicamente a un’osservazione di carattere sociale, ovviamente del tutto non condivisibile.
Negli ultimi anni i tagli alla scuola sono stati spaventosamente ingenti, tali da portare a conseguenze degne dei Paesi sottosviluppati (ammesso che questo paragone, per l’Italia, abbia ancora un senso…): dalle classi sempre più numerose, alle ore di lezione sempre più ridotte; dalla quasi impossibilità di ricorrere al supporto di esperti esterni per attività extracurricolari o per l’appoggio ai docenti nella gestione di situazioni problematiche, alla necessità di scegliere se andare in gita o acquistare materiale didattico per la classe; alla triste assurdità – per una scuola che sarebbe statale e comunque è obbligatoria – di costringere le famiglie a provvedere alla carta igienica, alla carta per le fotocopie, ai prodotti per le pulizie, quando non anche alla tinteggiatura dei muri.
La scuola, quindi, sta diventando, anno dopo anno, sempre meno vivibile, sempre più “pesante” per gli studenti e i loro genitori, e non possiamo più stupirci – né, forse, colpevolizzare più di tanto studenti e genitori – se sempre più bambini e ragazzi sostengono di non andarci volentieri, se non addirittura di “odiarla”.
A tutto questo si aggiunge – ma non è certo cosa solo di oggi – il rispetto sempre più scarso che le “alte sfere” hanno per il corpo docente, per quelle persone che ogni giorno si impegnano con fatica per cercare di trasmettere a bambini e ragazzi (che, da parte loro, sono sempre meno ricettivi) saperi, regole e stili di vita. Tagliare lo stipendio degli insegnanti significa soltanto demotivarli ancora e sempre di più; significa considerare poco o nulla una professione che, con il passare del tempo,è tanto più difficile quanto più mutano la società, la storia, le relazioni umane, il rispetto reciproco, il senso delle cose e del sapere.
E non dobbiamo stupirci, allora, se sempre più insegnanti faranno il loro lavoro senza impegno e senza entusiasmo, demotivati e delusi da una classe politica che – ben lungi dal cercare di prendere esempio dai Paesi che funzionano perché investono su scuola, famiglia e welfare – pensa soltanto al proprio tornaconto e neppure da lontano al futuro delle nuove generazioni e, quindi, della nostra povera società.

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