La dislessia — e in generale tutti i disturbi specifici dell'apprendimento — non è mai identica per tutti, ma si presenta sotto forme anche molto differenti da un soggetto all'altro. Si può quindi affermare che esistano «diverse dislessie»?

 

 

La dislessia — e in generale tutti i disturbi specifici dell’apprendimento — non è mai identica per tutti, ma si presenta sotto forme anche molto differenti da un soggetto all’altro. Si può quindi affermare che esistano «diverse dislessie»?

CREDO che sia assolutamente risaputo che soggetti che ricevono una diagnosi di DSA, al di là delle ovvie differenze tra un disturbo e l’altro — dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia —, presentano anche profonde differenze nell’ambito di un singolo disturbo. Lo sanno bene gli insegnanti, i quali costantemente si ritrovano a fare i conti con più alunni certificati dislessici, ciascuno dei quali però presenta difficoltà peculiari e diverse da quelle dei compagni, e per ciascuno dei quali occorre, quindi, applicare strategie didattiche (e perciò predisporre PDP) differenti.

Gli studi sui disturbi specifici dell’apprendimento si sono più volte concentrati sull’ipotesi che, invece di parlare semplicemente di «dislessia», sia necessario prefigurare l’esistenza di differenti sottotipi di dislessia. Ipotesi, tuttavia, poi abbandonata, almeno provvisoriamente.

Con il riassunto di un interessante lavoro pubblicato sulla rivista DIS1, do il via sul mio sito a una serie di articoli di taglio maggiormente teorico, direi scientifico, sul “mondo” dei DSA. Articoli che hanno l’obiettivo di aiutare i miei lettori ad approfondire le proprie conoscenze sull’argomento, e che per questo scriverò comunque con il linguaggio semplice che mi è consono, affinché non siano solo per “addetti ai lavori”.

La rassegna

L’articolo di cui vi propongo il riassunto è una rassegna di letteratura scritta da Enrico Ghidoni2.

L’autore esamina un corposa serie di ricerche che, a partire dal 1983, si sono occupate di identificare e categorizzare le differenti modalità in cui si presenta la dislessia, con lo scopo di proporne dei sottotipi. Gli studi passati in rassegna hanno di volta in volta costruito categorie di dislessia sulla base o delle difficoltà evidenziate dai soggetti dislessici, o delle cause neurobiologiche sottostanti.

Le proposte di categorizzazione…

Ghidoni3 riassume in una tabella i «sottotipi di dislessia più spesso proposti nella letteratura». Questi sottotipi si basano su tre diverse caratteristiche che i dislessici possono presentare:

  1. più veloci ma meno accurati: commettono errori nella lettura di non parole;
  2. lenti e con errori lessicali: commettono errori sulle parole irregolari;
  3. lenti e scorretti in tutte le prove.

A livello estremo, l’autore cita il lavoro di Friedmann e Coltheart del 20184: i due studiosi hanno proposto ben 17 forme differenti di dislessia, a loro volta suddivisibili in altre sottocategorie. Tuttavia, obietta correttamente Ghidoni,

L’individuazione precisa di questi sottogruppi, rispondente a una rigorosa logica cognitivista, è molto difficile da verificare nella pratica clinica […] poiché richiederebbe […] strumenti di valutazione estremamente specifici [… e] poiché i casi concreti raramente presentano disturbi così selettivi.5

Studi più recenti, infine, collegano i sottotipi di dislessia a dati di neuroimaging: a seconda delle diverse conformazioni cerebrali, quindi, si avrebbero diverse tipologie del disturbo.

… E la conclusione per nessuna categorizzazione

L’autore della rassegna spiega che anni di evidenze cliniche dimostrano che le categorie della dislessia individuate dalla letteratura scientifica sono molto dipendenti dai test che vengono somministrati per diagnosticare il disturbo:

Con qualsiasi tipo di test o combinazione di test si valuti una casistica di dislessici, si possono individuare sottogruppi che sono comunque differenti da quelli ottenuti con qualsiasi altra analisi con altri test.6

Pertanto, la conclusione cui perviene è che sia quanto mai difficile “incasellare” ogni singolo caso di dislessia in una determinata categoria fissata a priori. Secondo Ghidoni, quindi, esistono casi singoli, ciascuno con specifiche cause del disturbo e specifiche conseguenze cognitive e comportamentali.

Ha allora più senso, almeno sulla base delle conoscenze attuali, continuare a parlare di «dislessia» tout court, evitando categorizzazioni che, in fin dei conti, non riuscirebbero comunque a comprendere tutte le molte e specifiche modalità in cui questo disturbo si presenta nella pratica.



Note:

  1. DIS – Dislessia, disortografia, disgrafia, discalculia e difficoltà in matematica, disturbi di attenzione e iperattività. Giornale italiano di ricerca clinica e applicativa. Rivista quadrimestrale diretta da Giacomo Stella, Enrico Savelli, Daniela Lucangeli, Gian Marco Marzocchi. Edizioni Centro Studi Erickson, Trento.
  2. Ghidoni E. (2020), «Esistono sottotipi differenti di dislessia? Una breve rassegna della letteratura», DIS, vol. 1, n. 1, gennaio 2020, pp. 57-71, Trento, Edizioni Centro Studi Erickson.
  3. Ghidoni E., ibid., p. 62.
  4. Friedmann N., Coltheart M. (2018), «Types of developmental dyslexia», in Bar-On A., Ravid D (a cura di), Handbook of communication disorders. Theoretical, empirical, and applied linguistics perspectives, Boston, MA, De Gruyter Mouton, pp. 1-37. Cit. in Ghidoni E., ibid., p. 63.
  5. Ghidoni E., ibid, p. 65.
  6. Ghidoni E., ibid., p. 67.

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